giovedì 18 ottobre 2012

Tuttigusti+1: Coco Chanel e la Scrittura Creativa


Di Adrian Tomine

2. Taglia!

Diana Athill
2. Cut (perhaps that should be CUT): only by having no ­inessential words can every essential word be made to count.
(Taglia (forse si dovrebbe scrivere TAGLIA): si possono far risaltare le parole importanti solo se non ci sono parole inutili)

Esther Freud

1. Cut out the metaphors and similes. In my first book I promised myself I wouldn't use any and I slipped up ­during a sunset in chapter 11. I still blush when I come across it.

(Taglia metafore e cose del genere. Nel mio primo libro mi ero ripromessa di non usarne, ma ci cascai in pieno durante un tramonto nel capitolo 11. Ancora arrossisco quando ci capito.)

3 Editing is everything. Cut until you can cut no more. What is left often springs into life.

(L’editing è tutto. Taglia fino a quando non puoi tagliare più niente. Quello che resta spesso prende vita)

Sarah Waters

2. Cut like crazy. Less is more. I've ­often read manuscripts – including my own – where I've got to the beginning of, say, chapter two and have thought: "This is where the novel should actually start." A huge amount of information about character and backstory can be conveyed through small detail. The emotional attachment you feel to a scene or a chapter will fade as you move on to other stories. Be business-like about it.

(Tagliate come matti. Meno è meglio.
Mi è capitato spesso di leggere manoscritti - compresi i miei - dove ho dovuto tornare, tipo, al capito due e ho pensato: “Qui è dove la storia comincia davvero.” Un sacco di informazioni importanti su personaggio e trama possono essere trasmessi utilizzando solo un piccolo dettaglio. L’attaccamento che si prova per un capitolo o una scena si indebolisce man mano che procedete verso altre storie. Siate manageriali in questo. )

Il verbo “cut” pulito pulito non ricorre poi tanto nella raccolta delle dieci regole del Guardian, e quelle poche volte ve le ho riportate qui sopra insieme alle frasi cui appartengono. Ma i suoi equivalenti, parenti, cugini di secondo grado e dirimpettai li incontrate ad ogni angolo, e quello che incontrate più spesso si chiama editing.
Prendiamo per esempio
(ma non è l’unico) il signor

Will Self,

che dice:

1. Don't look back until you've written an entire draft, just begin each day from the last sentence you wrote the preceeding day. This prevents those cringing feelings, and means that you have a substantial body of work before you get down to the real work which is all in . . .

(Non guardate indietro fino a quando non avete scritto una bozza completa, semplicemente cominciate ogni giorno con l’ultima frase del giorno prima. Questo vi evita attacchi d’ansia e significa che avete un bel po’ di materiale prima di cominciare il lavoro vero, che è tutto nell’…)

2. The edit.
...nell'editing.

ed è chiaro che intenda l’editing (anche) come un poderoso lavoro d’accetta. Addirittura lo presenta come “il lavoro vero”, e ci trova decisamente d’accordo. Perché? Perché la scrittura è una selezione. Il nostro cervello immagina, non scrive, ed è abbondante, rigoglioso e ridondante. Provate a chiedere a chi pratica meditazione: far tacere la mente, o anche semplicemente concentrarsi su una sola immagine tra le migliaia che si presentano spontaneamente quando il pensiero lavora naturalmente, è un grandissimo casino. Ci si riesce solo dopo anni di pratica e una forte motivazione.
Strumenti dello scrittore
Ora, quando scrivete voi fate prima un lavoro di immaginazione e lo fate a vari livelli: la storia intera, poi il capitolo e scendendo ancora di livello immaginate una scena.  L’avete davanti ai vostri occhi, vedete tutto, sentite anche odori e sapori e probabilmente, se siete davvero dentro alla storia, provate anche sentimenti e sensazioni del vostro protagonista di quel momento. Se scrivete dal punto di vista del vostro personaggio preferito, siete anche in una sorta di trance creativa: semplicemente non siete più nel vostro corpo ma lì, nell’Universo dove si sta svolgendo la vostra storia, e state vivendo un’esperienza multisensoriale. Se Mr. Protagonista mangia qualcosa di delizioso, a voi viene fisicamente l’acquolina in bocca. Se fa altro, non ne parliamo *ammicc*.
Ora abbassate gli occhi.
Eccolo lì: lo schermo di Word oppure il foglio bianco, il problema è lo stesso. Voi pensate una frase. Con cosa cominciate? Come scegliete la prima parola? Come ci mettete, su quel foglio, tutte le sensazioni e le emozioni che state provando? Dire che vi trovate davanti ad un collo di bottiglia è poco. Un imbuto, anche. Un tritacarne? Già ci si avvicina di più. Dovete stringere, stringere e condensare in poche parole il mondo che state vivendo in quel momento. È più che naturale che eccediate: volete dire tutto, volete che il vostro lettore senta esattamente quello che sentite voi senza perdersi niente. Non volete solo che non perda le cose più importanti: lì per lì, vorreste che non si perdesse proprio niente. Il massimo sarebbe che diventasse non voi, ma il vostro Personaggio.
Il problema è che non sarà la quantità delle parole a rendere vero per chi vi legge il mondo che volete raccontare, ma la qualità, ovvero la parola giusta. Perché il vostro lettore farà il lavoro inverso: raccoglierà quella parola, o quelle parole messe proprio così, in quella particolare sequenza, e si lascerà suggerire il vostro mondo. Che ricostruirà grazie alla propria immaginazione, che è sua e solo sua. Rassegnatevi, difficile che senta esattamente quello che avete sentito voi, ma ci andrà molto vicino, tanto vicino quanto voi sarete andati vicino alla parola giusta.
Perciò lavorerete di taglio, perché nel pezzo ci saranno parole il cui peso non corrisponde a ciò che volete dire; ciò che avete “rigurgitato” lì per lì ha altissime probabilità di essere “troppo” e di fuorviare chi vi legge, invece di accompagnarlo sulla strada per il vostro mondo.
Tutto chiaro? Tagliate. Lavorate di cesello. Affinate. Cancellate la parola che sembrava giusta e riscrivitene una migliore. È qualcosa che sconfina nella poesia: c’è chi confonde la poesia con le sbrodolate, un M’illumino d’immenso con tre pagine di metafore su un mattino di primavera. Cosa ha funzionato di più in questo momento sulla vostra immaginazione? Le parole sono pietre, diceva qualcuno. È vero: sono densissime, un concentrato d’immaginazione e se le usate bene non ve ne servono tante.
Coco Chanel consigliava alla signora elegante: quando sei completamente vestita e pronta per uscire, togli cinque cose. Se ti addobbi come un albero di Natale non vedranno te, vedranno gli addobbi. Se hai scelto bene vedranno una donna elegante. Qualcosa di bello, anche se non sei Miss Universo (ok, questo non so se lo diceva Coco ma il concetto è quello).
Scommettiamo che Mademoiselle ne sapeva anche di scrittura creativa?
(Le traduzioni di servizio, senza pretese, sono mie)


Serena de Matteis

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